L’unica cosa che un po’ mi manca dei social è la condivisione di pensieri non particolarmente seri sulla mia personalissima esperienza come Madreh di un Giovin signore attualmente giunto quasi ai diciotto mesi di permanenza in questo piano di esistenza (avete notato quante rime interne nonostante la prosa? So’ un drago io).

C’era chi si divertiva a leggere queste robette e di certo a me faceva piacere scriverle, perché bene o male cercavo di vedere il lato comico delle situazioni più faticose o dei lati non idilliaci del tirar su un figliolo.

Perché la narrazione generale ti vorrebbe Madreh inderogabilmente felice, pronta a qualunque sacrificio, MA QUALE SACRIFICIO, LO FAI PER I BAMBINIIIIHHHH NESSUNO PENSA AI BAMBINIIIIIHHHH

E invece la realtà è che nessuno pensa ai ca$$i suoi, prima di tutto; in secondo luogo, per quanto i momenti di profonda gioia di soddisfazione siano tanti e intensi, c’è tutto un corollario di roba che ti sta stretta ma devi aver pazienza, di incombenze che vorresti rimandare all’infinito e invece tocca farle, di cose che vorresti effettivamente fare ma vengono dopo la mera sopravvivenza del ménage familiare.

C’è il tempo che devi trovare per tutto, te compresa, il tempo che devi rubare da qualche parte, il tempo che ti viene rubato da qualcosa a cui non vorresti concederlo.

Insomma, essere Madreh (ma anche Padreh) fa anche un po’ onco come occupazione full time e non c’è niente di male ad ammetterlo, ad accogliere questa consapevolezza e a riderci su. Non c’è niente di male nemmeno a condividerlo col resto del mondo.

Madreh esiste e lotta insieme a voi. Male e spesso in modo snaturato, ma lo fa.

E, nel tempo libero (= mentre fa la cacca), elucubra coseh.

Anche il Giovin Signore elucubra coseh. Prevalentemente dissezione di margherite, o cacca. Molta cacca.

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